Storie nuotistiche dagli antipodi dell’isola. Nicola Pau da Cagliari racconta le principali tappe agonistiche e allenatoriali vissute tra Esperia e Promogest. Dal Capo di sopra interviene il tecnico sassarese della Sport Full Time Pierluigi Salis. Con le loro testimonianze, sbocciano spunti utili alla crescita del movimento in un periodo tutto particolare.
UNA VOCAZIONE CHIAMATA NUOTO: L’ESPERIENZA TECNICA ED AGONISTICA DI NICOLA PAU
Quando l’acqua è dispensatrice di dolori, prima, e di tantissime gioie, poi.
Nicola Pau deve tanto al liquido che pur non rilasciando odori e sapori nel contempo gli ha segnato l’esistenza.
In tenera età aggredisce la pelle del suo braccio destro che nulla può davanti ad un implacabile flusso rovente.
Nonostante tutto l’elemento costitutivo dell’universo non viene mai guardato con rancore ma rappresenterà il simbolo da cui ripartire per significative scalate agonistiche.
E nel bel mezzo dell’età adolescenziale un altro urlo di tutt’altra asprezza viene diffuso nell’aere (1989), immediatamente dopo la conquista del titolo italiano di categoria. Seguiranno tante altre tappe significative con l’Esperia Cagliari, a cui si aggiunge la stagione (1994) con la Rari Nantes Torino.
Nel luglio 1999 abbandona le gare e tempo quattro mesi, in qualità di socio fondatore della Promogest, risponde a quella che lui definisce una vocazione, assecondandola con cura verso la raccolta di tanti altri importanti traguardi (da tecnico), dopo innumerevoli maratone perfezionatrici presso il CentroNuoto Quartu.
“Far raggiungere il più alto potenziale agli atleti è sempre stato il mio obbiettivo” dice Nicola che sicuramente vive cose incredibili nel quadriennio 2012/2016 quando si ritrova in piscina il timido ma coriaceo Giuseppe Guttuso, che per un niente sfiora la qualifica olimpica di Rio de Janeiro.
Sono appagamenti che arrivano lavorando sodo
E soprattutto facendo tesoro della mia esperienza da nuotatore. Ho cercato di far crescere ogni atleta secondo le sue potenzialità. Al di là del risultato, puoi arrivare anche “ultimo” ma l’aver migliorato la tua prestazione è un dato che riempie comunque il cuore.
Ma grazie al tuo lavoro non ci sono stati solo ultimi tra i tuoi atleti
La prima medaglia d’oro da allenatore è arrivata grazie a Federica Rocca. In quel caso il massimo risultato fece il paio con la massima felicità. Ma ovviamente ho gioito tanto con Giuseppe Guttuso, non solo per aver sfiorato la qualifica, per pochi centesimi, alle olimpiadi brasiliane. Lui ha scritto la storia del nuoto sardo collezionando medaglie internazionali agli Europei, i due bronzi agli assoluti Italiani e i numerosissimi metalli ai Nazionali Giovanili.
Nelle ultime due stagioni sono Lorenzo Puddu e Massimo Lai che mi stanno dando grandi soddisfazioni.
I più bei complimenti che hai ricevuto dai tuoi allievi?
Sono stati tanti, diversi l’uno dall’altro. Ogni atleta esprime le proprie emozioni con modalità uniche, talvolta anche dopo diverso tempo. La parola “grazie” è quella che ricordo maggiormente. Ma vorrei pure io ringraziare tutti gli atleti che ho potuto allenare. È stata una crescita anche per me.
Secondo te è automatico che, lasciata la scena agonistica, un nuotatore voglia trasformarsi in allenatore?
Non credo. Fare l’allenatore è molto difficile, soprattutto oggi, devi sentirlo dentro. Nel mio caso è stato naturale.
Cosa provi quando un tuo atleta decide di abbandonare?
Se succede, so per certo che non lo farà in via definitiva. Ovviamente mi dispiace, capisco che sia fisiologico, ma prima o poi ritornerà nell’ambiente, magari ancora da agonista, dopo qualche mese, o da master dopo qualche anno.
Quanto ti ha aiutato la Promogest nel tuo percorso?
Veramente tanto. Tutti i 14 soci lavorano continuamente in sinergia per crescere in ogni settore e migliorare costantemente. Con la grande spinta del nostro Presidente Prof. Paolo Pettinau, nel corso dei 20 anni di attività, abbiamo raggiunto importantissimi traguardi. Basti pensare alle Olimpiadi di Francesca Deidda nel nuoto sincronizzato, alla convocazione europea con la nazionale A di Giuseppe Guttuso nel nuoto, alla storica promozione in serie A1 con la pallanuoto maschile. È bello far parte di un gruppo così.
La tua vita da tecnico come è stata sconvolta dall’emergenza Coronavirus?
Più che sconvolta si è fermata. Come è accaduto a tutti ovviamente. Ma chi è abituato a lavorare, tra allenamenti e gare, spesso 7 giorni su 7, la botta si è fatta sentire. In alternativa sto passando tanto tempo in famiglia, in particolare con mio figlio di 11 anni. Lo vedo crescere ed è una sensazione fantastica.
Torniamo alla tua infanzia. Quel grave incidente domestico è stato determinante
Per recuperare la funzionalità dell’arto, nel 1976 (avevo quattro anni), mia madre scelse il nuoto e mi iscrisse all’Esperia. Ripeteva sempre che l’acqua mi aveva fatto male e che l’acqua mi avrebbe rigenerato. Così fu.
Arrivarono i successi, ma non subito
Sinceramente si sono fatti attendere. Il mio obbiettivo era guarire. Quando a sei anni fui scartato per un cambio di corsia, durante una selezione interna alla scuola nuoto, in me scattò qualcosa. Lavorai più intensamente e nel giro di tre anni recuperai il “terreno” perduto. Verso i 9 anni mi scelsero per fare una garetta. Ci presi gusto. Mi piaceva dare tutto e vincere.
Che sensazioni ricordi
Il primo titolo italiano è uno dei più significativi, voluto infinitamente contro mille ostacoli. Successivamente conquistai i due bronzi ai campionati italiani assoluti. E poi, come non menzionare, nel 1997, la terza miglior prestazione di sempre in Italia nei 100 stile nuotato in vasca corta con il tempo di 49.60. Mi piace ricordare inoltre anche gli oltre 100 titoli regionali assoluti vinti in Sardegna.
Come valuti lo stato di salute del nuoto sardo?
Siamo in una fase transitoria. Il livello tecnico in alcune specialità è calato. In altre, invece, grazie anche a qualche giovane promettente, si è notata una crescita. Il problema è legato alla sempre più fragile e poco costante motivazione che ogni atleta ha nell’organizzare il suo tempo e superare le difficoltà dei nostri tempi. Con la scuola prima, i rientri, i laboratori e poi con l’università, è complicato vedere un bravo cadetto (nuotatore esperto di 18 anni), progredire ulteriormente nella sua formazione e nello sviluppo tecnico.
Hai consigli da elargire al Comitato presieduto da Danilo Russu?
Mi piacerebbe vedere il nostro mondo del nuoto reinterpretato in chiave moderna, rinnovato nella forma ma anche nella sostanza, soprattutto rispetto ad altri sport. È difficile, ma non smetto mai di credere a una gara regionale assoluta, talmente interessante che possa ospitare, oltre agli atleti, i tecnici e i genitori degli atleti, gli appassionati di tutta la Sardegna. Sarebbe un segnale fortissimo.
Un traguardo che vorresti raggiungere?
Lo desideravo come atleta e rimane anche da allenatore: partecipare alle Olimpiadi. Ci è mancato poco con Giuseppe Guttuso. Far qualificare un atleta alla gara più importante del mondo non ha prezzo.
Tra tecnici sardi andate d’amore e d’accordo?
Amore mi sembra una parola esagerata. Sicuramente ci vogliamo bene, ci conosciamo da una vita. Devo dire che dopo una discussione, alla fine, ci troviamo sempre d’accordo. Il ragionamento tecnico punta sempre a un obbiettivo vero e concreto. Questo aiuta. C’è una stima e un rispetto tra tecnici molto alto. Voglio anche sottolineare che il nostro lavoro, pur essendo associato a una disciplina non professionistica ma amatoriale come il nuoto, implica comunque elevate competenze e continui aggiornamenti. Ecco, tutto questo ci unisce. Viva il nuoto!
PARLA IL TECNICO PIERLUIGI SALIS: “IMPOSTANDO IL RAPPORTO SULLA SINCERITA’ SI POSSONO OTTENERE GRANDI COSE”
Il primo impatto con le vasche è stato giocoso e leggiadro. Pierluigi Salis vi si immergeva con il sorriso sulle labbra e badava semplicemente a divertirsi, dispensando scherzi e battute a destra e a manca. Un modo singolare per familiarizzare con la disciplina, senza però erigerla a baluardo imprescindibile della sua esistenza. Questo fino ai sedici anni, perché dopo, gradualmente, cambia mentalità: tutto quello che non aveva preteso per sé stesso lo trasferisce ai suoi piccoli e grandi nuotatori. “Gli impianti sassaresi di Lu Fangazzu e Latte Dolce, da quasi 36 anni, rappresentano la mia seconda casa e dunque la mia vita – narra Pierluigi – in quanto trascorro in piscina quasi dieci ore al giorno. Tutto ciò che riguarda amicizia, lavoro, gioie, dolori e tanto altro sono legate a questi due luoghi”.
Del suo rapporto con il nuoto, cominciato all’età di sei anni grazie ai genitori che lo iscrissero alla scuola di avviamento, colpisce la sua fedeltà per i colori della società Sport Full Time Sassari, mai tradita.
“Non sono stato sicuramente un atleta modello – aggiunge – avevo qualità normalissime ma soprattutto spiccavo in vivacità”. Dalla sua postazione a bordo vasca fioccano risultati importanti che se venissero elencati rischierebbe di non ricordarli tutti. Si limita nel sintetizzarli con lo storico traguardo raggiunto nella stagione 2016/2017 con la Serie A maschile, unica società sarda capace di salire nell’élite del nuoto nazionale. E poi le oltre 30 medaglie vinte come allenatore ai Campionati di categoria (7 titoli italiani) e Assoluti. Da non dimenticare la convocazione in Nazionale del suo ex atleta Andrea Farru che partecipò ai Giochi del Mediterraneo nel 2013.
Raccontaci del tuo cambio di mentalità
Il mio allenatore e attuale presidente, Ilario Ierace, aveva preso in gestione la piscina di Ozieri e quindi serviva una mano a Danilo Russu (all’epoca allenatore della Sport Full Time), che mi propose di affiancarlo nell’insegnamento. Da allora non ho mai smesso.
Come sei cambiato negli anni nel tuo rapporto con i discenti?
L’atteggiamento e l’approccio con i ragazzi muta continuamente. Con l’attuale generazione imposto il lavoro focalizzandomi principalmente su questi aspetti: pazienza, empatia, chiarezza e tranquillità. Una caratteristica che ritengo sia alla base di tutto è comunque la sincerità.
Però una situazione emergenziale come questa non l’avevi mai affrontata in passato
Non nascondo che all’inizio dell’epidemia Coronavirus lo sconforto l’ha fatta da padrone. Dopo trentasei anni di “routine” quotidiana (considerando che ci alleniamo sette giorni su sette per circa trecentoquaranta giorni all’anno), stare a casa non è stato facile.
E poi tutto è capitato nella fase clou della stagione
Mancavano pochissimi giorni alle gare, preparate con cura ed impegno. Successivamente abbiamo organizzato degli incontri tecnici con i colleghi allenatori, sia della mia società, sia con altri della Penisola. E non solo: in questo periodo ho anche letto e studiato tanto.
A prescindere dall’emergenza Covid 19 qual è lo stato di salute del nuoto sardo?
Direi che negli ultimi 2/3 anni ha risentito di un cambio generazionale che ha lasciato un grosso vuoto a livello assoluto. Credo che ci sia l’esigenza di collaborare ancora di più tra società, tecnici e Comitato Regionale per dare nuovi stimoli ai ragazzi.
E poi c’è la fase adolescenziale che rappresenta sempre un momento delicato
In questi ultimi dieci anni i ragazzi sono cambiati tantissimo. Soprattutto è diventato complesso gestire il passaggio delle ragazze da “bambine a signorine”. Trascorriamo con loro quasi tre ore al giorno e di conseguenza diventiamo dei punti di riferimento importanti anche dal punto di vista educativo.
Che gli dici solitamente?
Consiglio sempre di fare nuoto agonistico solo se hanno degli obbiettivi che vogliono provare a raggiungere. Pensare di farlo solo per passare del tempo con gli amici, o perché è diventata una routine consolidata, è impossibile. Proprio per questo motivo, superati i 15-16 anni, riscontriamo un tasso di abbandono elevato. Chi non riesce a porsi obbiettivi precisi vede l’impegno agonistico come uno stress anziché considerarlo un momento di divertimento e crescita.
Cosa proponi per dare maggiore impulso alla disciplina?
Penso che dovremmo creare un circuito di gare più divertenti. Immagino dei meeting organizzati dalle società che propongano una scaletta più snella e l’istituzione di premi differenziati da distribuire alle diverse categorie partecipanti.
Qualcosa stava cambiando
Il Comitato in questa stagione era partito alla grande, creando delle rappresentative Juniores, Cadetti e Assoluti che partecipavano a dei raduni nazionali. Se ben ricordate ci trovavamo a Torino con la selezione seniores quando è iniziato l’incubo Coronavirus.
Posso approfittare della circostanza per lanciare un appello?
Certo
Siamo stati lontani dal nostro mondo per oltre sessanta giorni, un tempo enorme per le abitudini che ci riguardano. Ma sono convinto che avremo la forza per recuperare il tempo perduto e ritornare più forti e appassionati di prima. Quindi rivolgo un grosso in bocca al lupo a tutti i nuotatori sardi.
Quello degli impianti continua a d essere un problema irrisolto?
Credo proprio di no. In Sardegna ci sono oltre cinquanta piscine dislocate in tutte le province. I disagi affiorano semmai per le manifestazioni. Purtroppo molti di questi impianti, oltre a non essere omologati, dispongono di spalti al limite della regolarità. L’unico con tutti i crismi è quello di Terramaini, a Cagliari, che spesso si trova ingolfato a causa di un calendario nutritissimo. Essendo direttamente gestito dal Comune è soggetto molto spesso a rigide burocrazie penalizzanti.
Sei del Capo di Sopra, come l’attuale presidente FIN Danilo Russu. Il movimento del nord Sardegna si sente più tutelato secondo te con la sua presenza?
No, assolutamente. Danilo in questi anni ha dimostrato di saper svolgere l’incarico che gli è stato affidato con grande imparzialità e con le stesse attenzioni per tutte le realtà della penisola.
Coltivi degli hobby, hai delle passioni particolari?
Diciamo di no. Mi piace passare del tempo con gli amici a prendere qualche caffè e aperitivo: speriamo si possa riprendere subito. Poi seguo un po’ la politica che mi ha sempre affascinato.
Concludo ringraziando il Comitato che mi ha dato la possibilità di manifestare i miei pensieri.