Avviare un rapporto più stretto con la politica regionale e dialogare maggiormente con le municipalità. Questo il proposito delle alte cariche della FIN Sardegna in questi giorni tanto caotici quanto preoccupanti. Il benestare istituzionale per la riapertura delle piscine purtroppo non trova riscontri pratici nella realtà sarda dove la stragrande maggioranza dei gestori non se la sono sentita di riprendere come se niente fosse dopo ottanta giorni laceranti di blocco.
Gli impianti di nuovo in azione sono principalmente quelli all’aperto, facilitati da spazi più ampi e dalla presenza di aria non filtrata. I responsabili dei restanti, molto coraggiosi, giocano la scommessa della vita, puntando prevalentemente sull’attività di base che da sola potrebbe supportare i costi e consentire agli agonisti di riacquistare uno stato di forma purtroppo deteriorato. Così facendo si fa in modo che chi solitamente prepara le gare previste nei calendari regionali e nazionali non perda ulteriore tempo prezioso: sei mesi senza nuotare rappresenterebbero un’eternità.
Il presidente della FIN Sardegna Danilo Russu è pronto al braccio di ferro diplomatico con gli amministratori regionali che si occupano di sport, anche perché ci sono tanti posti di lavoro che rischiano di essere perduti definitivamente. “Lancerò nelle sedi apposite l’ennesimo grido d’allarme – ha detto – perché un’intera generazione di agonisti rischia di scomparire assieme ai gestori e a tutte le figure professionali che ruotano attorno a loro. Forse ancora non si è percepita bene l’entità dell’eventuale disastro che andrebbe a perpetrarsi e combatterò strenuamente affinchè non si continui a sottovalutare il problema”.
E poi si caldeggia una nuova ed immediata definizione delle convenzioni con i comuni: “Sono saltati i piani economici finanziari – dice – e servono investimenti urgenti per adeguare le strutture. Le piscine molto spesso rappresentano un punto di riferimento sovracomunale e le varie amministrazioni dovrebbero consorziarsi per il loro sostentamento”
Gli addetti ai lavori hanno riscontrato come le attuali linee guida non consentano un immediato adeguamento delle strutture e l’unica soluzione per la stragrande maggioranza è di rimandare la riapertura a settembre.
“Molti impianti sono costati circa diecimila euro al mese durante lo stop – continua Russu – e per un nuovo riavvio occorre una somma analoga, perché bisogna svuotare le piscine, igienizzare filtri e tubazioni, riempire, filtrare, clorare e scaldare”.
E poi ci sono gli atleti, per loro il presidente riserva un esempio calzante: “E’ come se improvvisamente chiudesse l’università impedendo allo studente di poter completare anni e anni di studio. Arrivano all’agonismo dopo parecchi anni di scuola nuoto e poi iniziano un percorso di grandi sacrifici che li porta gradualmente a nuotare per 2/3 ore al giorno più la palestra, sei giorni su sette, undici mesi all’anno. Si va avanti ed indietro seguendo quella linea nera, unica compagna di allenamento, perché nei pochi momenti di pausa è meglio utilizzare il fiato per recuperare, anziché parlare con i propri compagni”.
Le limitazioni delle linee guida, fanno notare dalla FIN Sardegna, imporranno una limitazione nell’affluenza dei turni di scuola nuoto, acquafitness e di tutta l’attività di base necessaria a formare i nuovi talenti. E non finisce qui perché per molti molti l’attività in acqua è terapeutica e riabilitativa.
“Impossibile pensare ad una regione circondata dal mare senza il contatto continuo con l’acqua” è la mesta conclusione di Danilo Russu.